Nel rumore ci è impedito di raggiungere la nostra anima e di ascoltarla. E quando non riceve attenzione essa finisce con il manifestare la sua sofferenza sotto forma di disagio esistenziale, di noia, di ribellione anche violenta. In tal senso il rumore è una prigione per l’anima. Senza l’esperienza del silenzio, senza momenti di silenziosa solitudine e raccoglimento, di riflessione su di sé, non si può compiere il passaggio dalla banale abitudine all’esser vivi all’esistenza autentica. Il rumore diventa così un fattore determinante della crescente disumanizzazione, un fattore di omologazione, di livellamento al grado più basso e standardizzato dei comportamenti.
Autore
Alberto Meschiari è ricercatore di Filosofia morale presso la Scuola Normale Superiore di Pisa. Al suo attivo ha ventitré volumi in diversi ambiti disciplinari, fra cui testi di filosofia, di storia della scienza e di narrativa. Da alcuni anni va elaborando una personale etica del reincanto come punto di equilibrio fra gli estremi di una razionalità assoluta da un lato e l’ingenuo abbandono all’ignoranza delle cause e all’animismo dall’altro (cfr. Riprendersi la vita. Per un’etica del reincanto, Tassinari, Firenze 2010; La vita: destino o progetto?, e Corpo mente spiritualità, entrambi in AA.VV., I problemi fondamentali della filosofia, a cura di F. Andolfi, Aliberti, Reggio Emilia 2012).