Come la Repubblica Italiana ha usato le onorificenze per occultare gli scandali del biennio 1943-45
Le scelleratezze compiute in questi mesi dall’esercito russo in Ucraina, prontamente premiate dal presidente Putin con alte onorificenze, dimostrano che la tendenza a cancellare i crimini di guerra attribuendo medaglie e riconoscimenti è ancora adesso pratica comune in molte nazioni del mondo.
Ciascuna forma di potere costituito, infatti, istituisce varie tipologie di onorificenze, civili e militari, per premiare chi si è particolarmente elevato nel proprio ambito di attività, ma anche per occultare gli scandali commessi dai servitori dello Stato. Le dittature, in particolare, sono sempre state sollecite a ricompensare i criminali per i preziosi servigi resi loro: dai tempi dei faraoni, chi obbedisce pedissequamente viene premiato.
Anche la Repubblica Italiana, nata dalla Resistenza, si è subito distinta per un uso distorto delle proprie onorificenze: le ha usate per nascondere gli scandali derivati dal comportamento di civili e militari nel corso del secondo conflitto mondiale e particolarmente durante la Resistenza.
In questo libro vengono esaminati quindici casi – documentati – di onorificenze conferite a persone fisiche e comunità, in relazione a episodi avvenuti tra il luglio 1943 e il settembre 1945. Tra esse figurano persino medaglie riparatrici di torti subiti. Durante la Resistenza, quando spesso si faceva la guerra agli avversari politici prima ancora che ai tedeschi e ai fascisti, non furono pochi i casi in cui si assegnò una medaglia a chi aveva perso la vita per “mano amica”.
Proprio per il fatto che tali onorificenze dovevano colpire l’immaginario collettivo, esse erano per lo più d’oro e al valor militare. In realtà, in molti casi le vittime delle stragi nazifasciste avrebbero meritato la medaglia d’oro al valor civile; ma poiché la funzione primaria (strumentale) era quella di coprire gli scandali partigiani, si richiedeva la medaglia al valor militare. In tal modo veniva fatto un ulteriore torto alla memoria dei civili, che come sempre pagano per gli errori altrui.
Troppo spesso nell’Italia nata dalla Resistenza, medaglie e onorificenze sono state usate per scopi propagandistici e per allontanare dalla verità. L’effetto è stato quello che il falso, inventato a tavolino, con il tempo si è consolidato come verità indiscussa e indiscutibile – per cui è ormai impossibile rimediare al disastro istituzionale.
Da quasi ottant’anni si ripetono le menzogne di Stato – che vivono grazie all’ossessiva reiterazione delle stesse, secondo il motto caro a Goebbels: «Ripetete una menzogna cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità».
Questo libro si pone lo scopo di far luce su tali menzogne.
Paolo Paoletti
Insegnante di Lingue e Letterature Straniere moderne nelle scuole medie superiori, Paolo Paoletti ha iniziato a fare ricerca storica negli archivi, soprattutto stranieri, dal 1984.
Dopo la scoperta, nel febbraio 1994, dei fascicoli inglesi e americani sulle stragi nazifasciste, che spinse il Procuratore Militare di Roma, Antonino Intelisano, a cercare e trovare il cosiddetto “armadio della vergogna”, si è interessato soprattutto ai crimini di guerra nazifascisti pubblicando una quarantina di saggi (molti dei quali dedicati alla Firenze del periodo bellico).
Fin dal suo primo libro Firenze. Guerra & Alluvione, scritto nel 1985 con Mario Carniani, ha sistematicamente messo a confronto le testimonianze dei protagonisti delle vicende storiche narrate con i documenti d’archivio.
Per i tipi di “Edizioni Tassinari” ha pubblicato i volumi storici Quale Liberazione?, Beate menzogne (e venerabili segreti) e Una Guernica italiana, La vergogna di Firenze, il romanzo fantastorico Colomba mortale e il saggio sui cittadini onorari di Firenze Il declino di un’onorificenza.