Nel mondo moderno la montagna è l’ultimo rifugio del trascendente. Perché la montagna è simbolo di ascensione, non solo fisica, ma spirituale, di uscita dalla folla, di elevazione dalle bassure e miserie dell’esistenza. In questo senso è assimilabile a un luogo sacro, di raccoglimento e preghiera, dove l’anima si purifica e s’innalza simbolicamente verso i cieli. Anche se non siamo credenti, proviamo noi stessi questa sensazione, mentre saliamo il sentiero avendo di fronte a noi le grandi cattedrali dolomitiche o i ghiacciai alpini. Perché ci lasciamo alle spalle, giù a valle, in città, la vita frenetica degli uomini, l’isteria del commercio e del denaro. Ci lasciamo dietro l’Io, perché l’arroganza dell’Io, qui, è ridicola, fuori posto. Ci lasciamo dietro tutto ciò che è destinato a passare, a tramontare in fretta. Ci lasciamo dietro tutte le cose che non contano, di cui si può fare a meno, che non ci arricchiscono interiormente. Spogliati del superfluo, siamo al cospetto della verità.
Dobbiamo imparare a rispettare la montagna, a non farne una meta di massa, di consumo, uno stabilimento balneare, un parco divertimenti, una merce di scambio da sfruttare economicamente. Quando avremo permesso definitivamente ai motori di profanare la montagna, quando vi avremo portato lo stile cittadino, le casse acustiche, le sagre dell’abbuffata, le finzioni mediatiche, non avremo più un luogo sulla terra in cui rimanere a tu per tu con la nostra finitudine.
Autore
Alberto Meschiari è stato ricercatore di Filosofia morale presso la Scuola Normale Superiore di Pisa. Socio del Club Alpino Italiano dal 1992, ha condotto per dieci anni l’iniziativa Conversazioni in montagna (di filosofia, letteratura, psicologia e altro ancora) in collaborazione con la Sezione C.A.I. di Modena.