GIULIO MARTINEZ
[…] La Galileo aveva un nome, ed era rinomata assai più forse che non meritasse. Ho qui accennato al negozio di Roma, davanti al quale si era in passato più volte fermato mio padre ammirando certi cannocchiali ed altri strumenti forse nautici. Perciò Papà dalla Spezia veniva a Firenze con me per andare senz’altro a vedere l’officina. Non avevamo certo pratica di Firenze, benché Papà vi fosse stato destinato nel ’68 al tempo del suo matrimonio: non conoscevamo dove fosse l’officina. Ma saliti in fiacchere, al tubato fiaccheraio si domandò se conoscesse dove era la Galileo. Rispose: «E chi non conosce l’Officina Galileo?». Arrivammo pertanto alla barriera delle Cure: non esisteva la via ora Luca Giordano essendovi un terreno incolto tra il muro della Galileo e la ferrovia: subito di là della ferrovia vi era poi la barriera daziaria.
Scendemmo: domandammo del Direttore e Papà fece passare la sua carta da visita che portava l’indicazione “Vice-Ammiraglio in posizione ausiliaria”. Il Direttore Golfarelli ci ricevé nel suo alquanto disordinato ufficio: ci fece poi visitare lo stabilimento.
Dopo la visita Papà gli disse aver saputo che poteva trattarsi affare interessante l’Officina fu risposto che lui non sapeva niente, che tutti dipendevano gli interessi della Galileo dall’Istituto Vegni, e pertanto dal Capo di questo Istituto ing. Vannuccini: che questi risiedeva abitualmente a Barullo, nei pressi di Cortona e che per qualunque cosa si volesse sapere occorreva scrivere all’Istituto Vegni. E venimmo così a sapere che il Vegni, uno dei fondatori della Galileo, alla sua morte aveva lasciato il suo ingente patrimonio terriero perché fosse fondato un Istituto Agrario, dal quale rimase dipendente l’Officina Galileo e l’Officina di Montedomini, quest’ultima già liquidata.
Ritornammo alla Spezia con l’idea che si trattasse di uno stabilimento di ben altra importanza che quello del Santarelli, ma senza aver concluso niente. Si scrisse però a Barullo e si iniziò la lunga trattativa che condusse alla mia entrata nella Galileo.
Per facilitare queste trattative fu stabilito di passare qualche tempo a Firenze. Io presi una aspettativa di qualche mese. I Barbensi ci trovarono un quartiere mobiliato in Via Garibaldi, mi pare al n. 10. L’Ing. Vannuccini stava talvolta a Firenze, abitando nel Viale Regina Vittoria1.
Fu necessario però fare una gita a Barullo, dove fummo ospiti a colazione, Papà ed io, del Vannuccini, persona molto mite e ragionevole, che poi per la sua bontà ebbe infinite noie.
Venimmo a sapere che l’Istituto desiderava liberarsi della Galileo, che gli aveva dato anche ingenti guadagni negli anni precedenti, ma che ora, cessati i lavori militari e mancando di mercato civile richiedeva continuo aiuto finanziario che l’Istituto Agrario non poteva darle, senza sacrificare la istituzione voluta dal Vegni.
Si venne poi a sapere che il Vannuccini sarebbe stato un figlio naturale del Vegni, che l’aveva nominato plenipotenziario organizzatore dell’Istituto e amministratore generale del patrimonio. Perciò il Vannuccini poteva trattare, ma non poteva decidere occorrendo autorizzazione superiore perché l’Istituto era diventato Ente Morale. […]